segunda-feira, 4 de janeiro de 2016

Danos da Paixão Esportiva - Italiano

Danno da passione sportiva rovinata, tra responsabilità contrattuale e danno esistenziale

31 dicembre 2015 - 
Danno da passione sportiva rovinata, tra responsabilità contrattuale e danno esistenziale
AbstractÈ configurabile un “danno da passione sportiva rovinata” nei confronti degli spettatori dello stadio (titolari di tessere del tifoso, abbonamenti e biglietti d’ingresso) che abbiano assistito ad una competizione sportiva risultata in seguito “truccata” (oggetto di illecito o frode sportiva) da parte di giocatori, dirigenti sportivi ed intermediari coinvolti nell’affaire illecito.
Il danno - che si atteggia a danno non patrimoniale risarcibile ex articoli 2043 e 2059 del codice civile (nei suoi profili esistenziali) - consiste nello “smarrimento dei valori sportivi” e nel “mutamento in senso peggiorativo delle proprie abitudini di vita”.
Tale tipologia di danno va liquidata in maniera equitativa, ed è pari al costo medio del biglietto d’ingresso della singola manifestazione, aumentato di un numero “x” di volte rispetto a tale base di calcolo, in relazione al grado d’importanza della stessa manifestazione sportiva, così come percepito da parte dello spettatore quale “consumatore finale” dell’evento (es. derby, gara di campionato di particolare importanza ai fini della classifica, ecc.).

SOMMARIO: Introduzione - 1. Il caso; - 2. Inquadramento della fattispecie: i precedenti; - 3. La responsabilità dell’organizzatore sportivo: dall’articolo 2043, all’articolo 2050 (passando dall’articolo 2049) del codice civile; - 4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto c.d. “di spettacolo”; - 5. Il danno esistenziale da atto illecito, mera descrizione di un (possibile) aspetto del danno non patrimoniale?; - 6. Una nuova tipologia di danno esistenziale: il “danno da passione sportiva rovinata” (e sua determinazione); - 7. Considerazioni conclusive.
Introduzione
Con decisione n. 3005 dello scorso 26 novembre 2014 (depositata il 24 febbraio 2015)[1] il Tribunale di Bari (Seconda Sezione Penale, Presidente Dott.sa Spagnoletti, Giudice Monocratico) nel pronunciarsi in merito ad una vicenda di “frode sportiva” che aveva coinvolto il Presidente della squadra di calcio “U.S. Lecce” da un lato, ed un giocatore della squadra di calcio “A.S. Bari” dall’altro (nonché un gruppo di soggetti che avevano svolto il ruolo di intermediari tra i due tesserati), avente per oggetto la combine della gara di Campionato di Serie A Bari-Lecce, disputatasi allo stadio di Bari lo scorso 15 maggio 2011 (vinta dalla compagine salentina “in trasferta” col punteggio di 2-0) si pronunciava anche in merito ad una richiesta risarcitoria avanzata da parte di un gruppo di tifosi (e di varie entità collettive, tra cui anche FIGC e CONFCONSUMATORI), di cui era stata ammessa la costituzione in qualità di parte civile nel procedimento.
Con tale decisione, gli autori dell’illecito venivano condannati dall’organo giudicante, oltre che per il delitto di “frode in competizioni sportive”, di cui all’art. 1 della legge n. 401 del 1989[2], anche per il risarcimento (in via solidale) del danno non patrimoniale qualificato come danno “da passione sportiva rovinata”, rinvenibile nella “sofferenza provocata nell’apprendere della ‘combine’ di una partita da loro particolarmente attesa e sentita come il derby pugliese[3].
Tale danno è stato liquidato in maniera equitativa, in una somma pari a circa 400 euro per ciascuno spettatore pagante (che aveva inoltrato domanda di risarcimento).
I tifosi - appartenenti, invero, ad entrambi i sodalizi sportivi coinvolti nella vicenda - sono infatti titolari di una “specifica situazione giuridica soggettiva, differenziata rispetto all’interesse della generalità dei consociati, alla lealtà e correttezza della competizione di cui è causa[4], che si atteggia a vero e proprio “diritto qualificato e differenziato alla fruizione con varie modalità di un evento sportivosvoltosi con caratteristiche del tutto diverse da quelle essenziali legittimamente attese[5].
La sentenza in oggetto rappresenta un precedente assoluto in materia di danni cagionati ai tifosi in occasione dello svolgimento di manifestazioni sportive, ed offre spunti di particolare interesse sui profili di responsabilità civile delle società sportive (nella loro qualità di organizzatori degli eventi sportivi)[6] - sia sotto il profilo contrattuale, sia sotto il profilo extracontrattuale - ma anche dei giocatori e di terzi soggetti coinvolti a vario titolo nel fatto illecito che, nel caso in questione, rappresenta anche un titolo su cui fondare la responsabilità nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda.
Per una migliore comprensione del caso (e dei profili giuridici da esso affrontati), occorre procedere ad una breve ricostruzione dei fatti.
1. Il caso
Con la sentenza in esame il Tribunale di Bari (Sezione Penale) condannava, in concorso tra loro (ex art. 110 c.p.), per il reato di frode in competizioni sportive (ex art. 1, commi 1, 2 e 3, della legge 401/1989)[7], l’allora Presidente e Rappresentante legale Pro-Tempore della squadra di calcio “U.S. Lecce”, insieme ad un soggetto che aveva svolto la funzione di intermediario per suo conto, nonché un giocatore della squadra di calcio “A.S. Bari”, che - insieme ad altri tre soggetti intervenuti quali intermediari dell’affare illecito - avevano preso parte allacombine del ‘derby’ di campionato di Serie A Bari-Lecce, in programma a Bari il 15/05/2011, “al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al leale e corretto svolgimento della competizione”.
Dalle indagini svolte dalle Autorità inquirenti emergeva, in particolare, che gl’intermediari intervenuti nell’accordo erano riusciti ad entrare in contatto con alcuni giocatori della squadra barese, preordinando un’intesa che aveva consentito alla squadra del Lecce di vincere la gara “in trasferta” col punteggio di 2 a 0, anche grazie al comportamento in campo di un giocatore della squadra di casa il quale - al fine di assicurare il buon esito dell’accordo - in occasione del secondo gol realizzato dalla squadra avversaria, deviava volontariamente (ed inaspettatamente) il pallone nella propria rete.
Dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni testimoniali rese nel corso del procedimento erano venuti fuori, infatti, tutta una serie di contatti (telefonici e verbali) tra i vari soggetti coinvolti nella vicenda, che davano contezza delle trattative e della conclusione dell’affare illecito.
Nel corso del procedimento veniva, inoltre, ammessa la costituzione in giudizio di varie parti civili (ivi comprese la FIGC e la CONFCONSUMATORI), tra cui anche alcuni gruppi di tifosi appartenenti ad entrambi i sodalizi sportivi coinvolti (Bari e Lecce), nei confronti dei quali veniva - al termine del giudizio - riconosciuto un danno qualificato come “da passione sportiva rovinata”, consistente nella perdita della fiducia nella correttezza delle competizioni e della lealtà da parte dei giocatori protagonisti, danno che si atteggerebbe a “significativo e non bagatellare pregiudizio[8] nei loro confronti in qualità di spettatori-consumatori dello spettacolo sportivo (abbonati, o titolari di biglietti d’ingresso).
2. Inquadramento della fattispecie: i precedenti
Ad analogo riconoscimento, in merito alla sussistenza di una siffatta tipologia di danno (di natura non patrimoniale), era pervenuta una sentenza - resa solo qualche mese prima da parte dello stesso ufficio giudiziario (Tribunale di Bari, Prima Sezione Penale, n. 10171 del 26 febbraio 2014-27 maggio 2015, Giudice Dr. Perrelli) - in cui erano emerse altre condotte fraudolente poste in essere dagli stessi giocatori della squadra barese in relazione ad altre partite giocate nel Campionato di Serie B.
In tale sede, infatti, nello stabilire la colpevolezza di alcuni giocatori tesserati con il Bari Calcio, l’organo giudicante aveva modo di condannare i responsabili dell’illecito al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite (nella fattispecie: un’associazione di tifosi e singoli tifosi), quantificando il danno in Euro 1.000,00 per ciascuno di essi, senza tuttavia procedere ad un’esatta qualificazione (sul piano dogmatico-giuridico) della tipologia del danno risarcito.
Entrambe le sentenze hanno quindi il pregio di affrontare (pur se non in maniera diretta, e da un diverso angolo visuale) la problematica relativa ai profili di responsabilità civile - sia di natura sia contrattuale, sia di natura extracontrattuale - delle società sportive nei confronti degli spettatori, nella loro qualità di organizzatori di manifestazioni sportive[9], per danni subiti dagli stessi nel corso di tali eventi.
Tali pronunce, inoltre - ed è questo un ulteriore elemento di novità ravvisabile soprattutto nella sentenza in oggetto -  estendono tali profili di responsabilità anche nei confronti di altri soggetti, che si trovano sia in posizione di terzietà rispetto alle società sportive (come gl’intermediari intervenuti nella vicenda), ma anche legati ad stesse da rapporto di lavoro subordinato (come nel caso del giocatore tesserato nelle fila del clubmilitante in un campionato professionistico).
Rispetto alla precedente pronuncia - limitatasi unicamente ad evidenziare la lesione del “diritto al leale svolgimento delle manifestazioni sportive” - la decisione in commento, relativa al ‘derby’ pugliese, offre ulteriori spunti di riflessione, nella misura in cui prospetta l’esistenza di un “danno da passione sportiva rovinata” nei confronti dei tifosi quali singoli utenti dello spettacolo sportivo.
Prima di addentrarci nell’analisi di tale tipologia di danno, occorre accennare brevemente ai profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo.
3. La Responsabilità dell’organizzatore sportivo: dall’articolo 2043, all’articolo 2050 (passando dall’articolo 2049) del codice civile;
La dottrina[10] qualifica come organizzatore sportivo quella persona fisica, giuridica (più spesso), associazione non riconosciuta[11] o comitato che “assumendosene tutte le responsabilità (civili, penali, amministrative) nell’ambito dell’ordinamento giuridico dello Stato, promuove l’incontro di uno o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori, e, quindi, indipendentemente dal pubblico spettacolo[12].
Compito specifico dell’organizzatore è - come ricordato da altra dottrina[13] - quello di vigilare, anzitutto, sulla sicurezza degli atleti, degli spettatori e di terzi soggetti coinvolti nella gara (si pensi, ad es., a quei soggetti, ausiliari dell’organizzatore, cui vengono affidati poteri di regolamentazione e disciplina delle gare: arbitri, tecnici, ufficiali di gara), attraverso le predisposizione di tutte “le cautele necessarie a evitare il concretizzarsi di pericoli ai loro danni nei luoghi dove si svolge lo spettacolo sportivo[14].
La stessa giurisprudenza[15] enuclea le principali caratteristiche dell’organizzatore ne: a) la finalità di promozione della manifestazione sportiva; b) il potere di controllo sulla stessa.
Altra dottrina[16], inoltre, mette in luce che gli obblighi di controllo dell’organizzatore sono “tanto più incisivi quanto più complessa è l’attività organizzativa richiesta dalle singole competizioni sportive[17], e ciò soprattutto in quei casi in cui - come evidenziato da altri ancora[18] - si rende necessaria “un’attività di specifica e complessa programmazione”, che sia in grado di prevedere “tutto il prevedibile, al di là delle prescrizioni statuali e regolamentari di settore, e con una valutazione in concreto di ogni strumento volto a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva[19].
I principali fattori di rischio (su cui debbono incentrarsi, quindi, gli obblighi di controllo facenti capo all’organizzatore) sono stati individuati[20]sino ad ora, nella: a) idoneità e sicurezza, sia dei luoghi dove si svolgono le manifestazioni, sia degl’impianti utilizzati; b) idoneità e sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati (siano essi o meno forniti dallo stesso organizzatore); c) idoneità dell’atleta a partecipare alle competizioni, sia sotto il profilo della sua idoneità psico-fisica (ma anche tecnica), sia sotto il profilo della sua concreta capacità a prendere parte a quella singola competizione (anche dal punto di vista dell’esperienza maturata nell’ambito della singola categoria per cui si compete)[21].
La giurisprudenza e la dottrina si sono per lungo tempo occupate della problematica relativa alla responsabilità per danni derivanti dall’attività di organizzazione di eventi sportivi, riconducendola ora al regime di responsabilità generale di cui all’art. 2043 (neminem laedere), ora alla responsabilità di cui all’art. 2049 del codice civile (responsabilità di padroni e committenti per fatto dei propri ausiliari, ponendo l’attenzione soprattutto sul sistema di deleghe e controlli connessi allo svolgimento di tale attività)[22].
Tuttavia, il più delle volte, la responsabilità dell’organizzatore sportivo è stata ricondotta nell’alveo della responsabilità di cui all’art. 2050 del codice civile - qualificando tale attività come “pericolosa”, per sua natura, o per la natura dei mezzi utilizzati - e ciò soprattutto nelle ipotesi di danni occorsi agli spettatori[23].
Orbene, tale impostazione non è stata ritenuta valida tout court (ossia per tutte le discipline sportive indistintamente[24]), ma soltanto per alcune di queste, essendo stato posto l’accento, rispettivamente, sull’intrinseca pericolosità dell’attività svolta (soprattutto in riferimento ai mezzi utilizzati: come nel caso dell’attività venatoria[25], o dell’organizzazione di gare internazionali di kajak[26]), sulla pericolosità dei luoghi in cui queste si svolgono (è stato questo il caso dell’attività di direzione di un autodromo[27], di sport che utilizzano mezzi a motore, come il motociclismo[28], delle gare di ciclismo a circuito aperto[29], dell’attività di navigazione aerea[30], di volo da diporto o sportivo[31], dell’organizzazione di gare di rafting[32], o ancora dell’organizzazione di corsi di alpinismo per principianti[33]), nonché sulla loro attitudine a richiamare un certo numero di spettatori, con conseguente aumento del rischio connesso alla verificazione di fenomeni di violenza e turbativa dell’ordine pubblico nel corso di tali eventi (è stato questo, soprattutto, il caso dell’organizzazione di competizioni calcistiche, almeno a partire dalla giurisprudenza degli anni ’90)[34].
In un recente caso - che ha visto uno spettatore lamentare un danno (da lesioni personali) causato dal lancio di oggetti piovuti dagli spalti[35] - la Suprema Corte ha ribadito la natura “intrinsecamente pericolosa” dell’attività di organizzazione degl’incontri calcistici, con conseguente esclusione del regime di cui all’art. 2043 ed applicazione di quello di cui all’art. 2050 del codice civile, “trattandosi (il lancio di oggetti pericolosi negli stadi, ndr.) di evento non controllabile, a fronte delle migliaia di spettatori delle partite e della natura dell’oggetto contundente (nella fattispecie: un moschettone da trekking, ndr.).. facilmente occultabile[36].
Per quanto riguarda le discipline sportive diverse dal calcio, la giurisprudenza ha preferito - in alcuni casi - ricondurre la responsabilità dell’organizzatore alla generale disciplina di cui all’art. 2043 del codice civile[37].
Non sono mancati, inoltre, casi in cui essa ha ricondotto la responsabilità delle società sportive (nella loro qualità di organizzatori) al regime di responsabilità di cui all’art. 2049 del codice civile (responsabilità di padroni e committenti per danni arrecati da fatto illecito dei loro ausiliari)[38], trattandosi - tuttavia - di ipotesi che hanno sempre interessato fattispecie di danni commessi dai propri tesserati per atti illeciti compiuti in danno di altri tesserati (e sempre nel corso delle competizioni)[39].
Mai, invero, tra i vari fatti illeciti (anche in una prospettiva di loro individuazione tra i fattori di rischio connessi allo svolgimento di tali manifestazioni), presi in considerazione sia da parte della giurisprudenza, sia da parte della dottrina sono stati individuati anche gli illeciti sportivi (vale a dire: il compimento di atti e comportamenti contrari ai principi di lealtà e correttezza sportiva, posti in essere in maniera tale da raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al ‘normale’ svolgimento della competizione) effettuati da parte di soggetti tesserati (sia singolarmente, sia in concorso con altri soggetti, esterni all’ordinamento sportivo).
4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto c.d. “di spettacolo”
La dottrina ha, già da diverso tempo[40], elaborato la nozione di contratto di spettacolo, intendendo per tale quella fattispecie contrattuale (“innominata ed atipica”) con cui, attraverso la vendita del singolo biglietto (ma anche la sottoscrizione di un contratto di abbonamento) da parte della società sportiva nei confronti dello spettatore, quest’ultimo acquista la titolarità del diritto ad assistere alla manifestazione in maniera piena e illimitata (perlomeno quanto alla fruizione del singolo evento).
La prestazione appena dedotta si sostanzia nell’obbligazione principale dello stesso contratto e fa sorgere, in capo alla società-cedente, il relativo obbligo di assicurare la visione diretta dello spettacolo sportivo.
L’obbligazione è, altresì, comprensiva del diritto (di natura strumentale, rispetto al primo) dello spettatore ad essere tenuto indenne dai possibili pericoli connessi all’attività cui assiste (cui fa, quindi, da contraltare l’obbligo, anch’esso di natura strumentale da parte della società sportiva, di garantire la sicurezza e l’incolumitànei suoi confronti in qualità di contraente-organizzatore).
La giurisprudenza di merito, nel fare propria questa impostazione (anche se non senza qualche resistenza, e non in maniera immediata)[41], ha ritenuto prevalente - in un’ottica di “bilanciamento” degl’interessi in giuoco - l’esigenza di tutelare, anzitutto, l’incolumità fisica degli spettatori, rispetto agli interessi (di qualunque matrice essi siano: economica, sociale o morale) facenti capo all’organizzatore sportivo[42].
Come puntualmente osservato[43], infatti, il principio dell’accettazione del rischio (di sinistri e/o infortuni che siano conseguenza immediata e diretta della partecipazione dell’atleta a competizioni sportive) non ha (potrebbe mai avere) efficacia, né nei confronti degli spettatori (in qualunque veste essi abbiano avuto accesso agl’impianti sportivi[44], salvo, beninteso, nel caso di una loro volontaria e consapevole esposizione al rischio)[45], né nei confronti di terzi soggetti, non direttamente coinvolti nella competizione.
Non può certamente valere, invero, nei confronti di soggetti estranei al mondo dello sport il “privilegio” della sola applicazione delle norme dell’ordinamento sportivo[46] (dal momento che costoro non fanno neanche parte di tale ordinamento), né può mai essere sostenuto che la volontà dello spettatore di assistere allo spettacolo sportivo possa abbracciare - anche in maniera tacita e/o presunta - l’esposizione al rischio della propria incolumità fisica, a fronte della semplice visione di tale spettacolo.
Nell’ambito dei profili relativi all’obbligazione principale dedotta nel contratto di spettacolo, nel caso in questione difficilmente - a nostro sommesso avviso - può essere sostenuto che la società sportiva, nella sua veste di organizzatore, abbia adempiuto alla sua obbligazione principale, intesa quale diritto ad assistere - a fronte del pagamento di un corrispettivo (sia attraverso l’acquisto di un tagliando d’ingresso, sia mediante la sottoscrizione di una tessera di abbonamento) - ad un spettacolo sportivo nel senso proprio del termine, inteso nel suo più tipico significato di “vero”, “genuino”, “integro” (in altri termini: scevro da qualsiasi interferenza, interna o esterna, che ne possa minare o compromettere la credibilità).
A tal fine, l’orientamento in esame ha inteso - in maniera assolutamente corretta - parlare di “diritto qualificato e differenziato (da parte dello spettatore, ndr.) alla fruizione con varie modalità di un evento sportivo, svoltosi concaratteristiche del tutto diverse da quelle essenziali legittimamente attese[47], lasciando con ciò intuire una violazione dei principi generali di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1176 c.c.) - anche sotto il profilo esecutivo (ex art. 1375 del codice civile) - dell’obbligazione contrattuale dedotta tra le parti.
In maniera altrettanto corretta - sempre ad avviso di chi scrive - essa ha fatto richiamo alle disposizioni del Codice del Consumo[48] (in particolare: l’art. 2, lett. e), norma che richiama i principi di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali) per fondare il proprio giudizio di responsabilità nei confronti delle parti in causa (società, tesserati e terzi soggetti) per la lesione del loro diritto di spettatori - in qualità di utenti e consumatori finali - “di assistere ad una competizione sportiva avente come promesse ed essenziali caratteristiche la lealtà e la correttezza del suo svolgimento, oltre che l’alea del risultato finale[49].
Non può certamente dubitarsi, infatti, che le caratteristiche essenziali dello spettacolo sportivo - in quanto, anzitutto, competizione, ‘agone’, contesa tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo - siano ravvisabili nella posizione di (tendenziale) parità tra i contendenti, e soprattutto nell’incertezza del risultato finale (ciò che la letteratura anglosassone qualifica come “unpredictability of the outcome”).
5. Il danno esistenziale da atto illecito, mera descrizione di un (possibile) aspetto del danno non patrimoniale?
Il tema del risarcimento del danno c.d. “esistenziale” è stato, dopo un lungo dibattito giurisprudenziale[50], oggetto di revisione da parte delle famose “sentenze di S. Martino” delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975)[51], le quali hanno definitivamente ricondotto tale tipologia di danno all’interno dell’unitaria figura del danno non patrimoniale conseguente alla commissione di un illecito, disciplinato dall’art. 2059 del codice civile.
Quest’ultima norma stabilisce, infatti, una limitazione alla risarcibilità di tale tipo di danno, affermando che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge[52].
In sede di applicazione dell’art. 2059 c.c., la giurisprudenza della Cassazione si era consolidata nel ritenere che il contenuto di tale danno fosse rappresentato unicamente dal c.d. “danno morale soggettivo”, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell’animo di tipo transeunte.
Un tale approccio interpretativo è stato, tuttavia, oggetto di rielaborazione da parte della stessa  giurisprudenza, sulla base del riconoscimento della risarcibilità, sempre nella categoria del danno non patrimoniale, della lesione all’integrità psicofisica della persona (c.d. “danno biologico”), nonché dalla necessità di prevedere analoga tutela anche al caso di lesione di altri specifici diritti inviolabili della persona protetti dalla Costituzione, secondo una loro interpretazione, anche in chiave evolutiva (e dinamica).
Spingeva in questa direzione la considerazione che diritti fondamentali della persona, sia come singolo (quali la salute, la dignità, l’onore, l’immagine, il nome, la riservatezza), che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (ex art. 2 Cost.), dovessero essere oggetto di una tutela minima rappresentata dal risarcimento del danno causato dalla relativa lesione, anche nella loro dimensione non strettamente economica.
Parallelamente a tale evoluzione del pensiero giurisprudenziale, si sono venuti definendo, all’interno del danno non patrimoniale conseguente alle lesioni indicate (ipotesi specificatamente previste dalla legge, lesione alla salute e agli altri diritti fondamentali di rango costituzionale), le categorie del danno morale soggettivo, deldanno biologico e del danno esistenziale, quest’ultimo definito da un altro orientamento della Cassazione (a Sezioni Unite) come “ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno[53].
Orbene il rilievo che una tale tripartizione appariva in buona misura artificiale, la constatazione che nella prassi giurisprudenziale dei giudici di merito ne era spesso derivata una duplicazione di poste risarcitprie del medesimo danno sostanziale, nonché la considerazione che da una malintesa autonomia del danno esistenziale era conseguita in tale giurisprudenza la proliferazione di danni risarcibili atipici e ritenuti assai spesso ‘bagatellari’[54], hanno indotto le Sezioni Unite della Suprema Corte a rivisitare il tema, attraverso la definizione di un’unitaria nozione di danno non patrimoniale, all’interno del quale le classificazioni su indicate assumono valore meramente descrittivo.
Costituisce, pertanto, danno non patrimoniale risarcibile ogni tipo di danno “determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica[55].
In caso di lesione di specifici diritti fondamentali della persona costituzionalmente protetti (e solo per essi: per questa via si confermerebbe la tipicità anche del danno non patrimoniale risarcibile sub specie di danno esistenziale), diversi e non conseguenti ad una lesione psico-fisica (o danno biologico), sono risarcibili sia i conseguenti pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona (su cui spicca soprattutto il c.d. danno da perdita del rapporto parentale per morte di un congiunto)[56], sia quelli relativi alla sfera personale del singolo, così come richiamati dalla Costituzione (ex artt. 2 e 3) quale la dignità, l’immagine, la riservatezza.
Devono - pertanto - rimanere esclusi dalla tutela risarcitoria pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e insoddisfazioni, che non trovano fondamento nella lesione di diritti della persona costituzionalmente protetti, ma in un (presuntodiritto alla felicitànon previsto quale diritto fondamentale della nostra Costituzione[57].
Altrettanto deve dirsi per quanto riguarda la tutela risarcitoria - sempre secondo le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite - nei casi di lesioni dei diritti della persona che, pur costituzionalmente protetti, producono tuttavia un “danno irrisorio o irrilevante” (secondo il comune sentire sociale) in ragione del livello di gravità raggiunto.
Non va, infine, dimenticato (sempre secondo le indicazioni fornite dalla Suprema Corte) che il danno non patrimoniale (anche qualora si atteggi ad un pregiudizio di tipo esistenziale conseguente alla lesione di un diritto inviolabile della persona) non rappresenta un danno-evento, ma un danno-conseguenza, con tutte le implicazioni di ordine probatorio che ciò comporta nei confronti di chi lo deduce in giudizio, ivi compreso  il ricorso alla prova presuntiva[58].
Il danno esistenziale è stato oggetto di numerose pronunce, soprattutto negli ultimi tempi, da parte della Suprema Corte, che sono sembrate, in un primo momento, ridimensionarne la portata.
Si allude, in particolare, ad un recente pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite[59], il quale ha sostanzialmente affermato che il danno esistenziale non rappresenterebbe una voce di danno dotata di una sua propria autonomia, dovendo piuttosto (il danno non patrimoniale inteso come categoria unitaria) essere oggetto di “liquidazione unitaria[60].
Sul punto, tuttavia, è stato correttamente fatto notare[61] che, nel percorso motivazionale utilizzato dai Giudici di legittimità, è stata adoperata la locuzione di “danno relazionale”, la quale null’altro sarebbe se non un sinonimo di “danno esistenziale”, intendendosi per tale tutte quelle conseguenze dannose che si verificano in capo al soggetto danneggiato - consistenti nella compromissione degli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana - che si pongono accanto al ‘danno morale’ ed al ‘danno biologico’, quale che sia l’ingiustizia del danno[62].
La stessa Suprema Corte, infatti, di lì a poco - anche attraverso il richiamo di alcuni orientamenti registratisi sia in una fase precedente[63], che successiva[64] rispetto a quello delle Sezioni Unite - è pervenuta al riconoscimento della risarcibilità del danno esistenziale, anche in assenza di un pregiudizio riguardanteunicamente il bene-salute (inteso secondo un’accezione “statica”, di generico benessere psico-fisico), e quindi in presenza di un interesse giuridicamente protetto, nella sua dimensione dinamico-relazionale[65].
6. Una nuova tipologia di danno esistenziale: il “danno da passione sportiva rovinata” (e sua determinazione)
Posto, quindi, che il danno ‘esistenziale’ si ravvisa in ogni caso di ingiusta lesione di un interesse giuridicamente protetto che va a toccare gli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto leso, la sentenza in oggetto sembra aggiungere tra questi anche il diritto - definito come “qualificato e differenziato”, rispetto agli altri enti esponenziali, di cui pure è stata ammessa la costituzione in giudizio in qualità di parte civile[66] - alla fruizione(“con varie modalità”)[67] di un evento sportivo che, come correttamente osservato in motivazione, si è in realtà svolto con caratteristiche e modalità “del tutto diverse da quelle essenziali legittimamente attese[68].
Le caratteristiche fondamentali dello spettacolo sportivo sono infatti - come prima accennato[69] - la parità tra i soggetti contendenti e soprattutto l’incertezza (l’alea) del risultato finale.
Tanto rilevato, non può ragionevolmente dubitarsi, allora, che nei confronti degli spettatori della gara a vario titolo[70], sussista un diritto “di assistere ad una competizione sportiva avente come promesse ed essenziali caratteristiche la lealtà e la correttezza del suo svolgimento”, nonché “l’alea sul risultato finale”, essendo - l’interesse di questi ultimi alla lealtà e correttezza della competizione - “fondato su un titolo contrattuale, incorporante uno specifico diritto (di credito) ad assistere ad una competizione sportiva regolare[71].
Da questo punto di vista, la circostanza per cui di danno “esistenziale” si tratti sembra emergere  (peraltro in maniera abbastanza chiara) da un altro passaggio motivazionale della sentenza in oggetto, laddove si parla di “significativo e non bagatellare pregiudizio” (nei confronti degli spettatori-tifosi) consistente, oltre che in una sofferenza transitoria, nell’aver “smarrito i propri valori sportivi e mutato in senso peggiorativo le proprie abitudini di vita[72].
L’orientamento sembra porsi, peraltro, in linea di continuità con un altro, registratosi nella recente giurisprudenza di merito, che ha affermato il principio secondo cui ove il contratto concluso tra le parti, oltre che per la sua causa “concreta”, sia diretto anche a perseguire un interesse non patrimoniale di una di esse (per la sua funzione economico-individuale), ebbene il pregiudizio di natura non patrimoniale (derivante da suo inadempimento, o inesatto adempimento) deve ritenersi comunque risarcibile[73].
Per quanto riguarda, infine, i profili risarcitori, la sentenza procede alla liquidazione del danno in via equitativa, ponendo a termine di riferimento il “costo medio” del biglietto del ‘derby’ (Bari-Lecce)[74], aumentandolo di dieci volte in relazione al grado d’importanza percepita della gara in oggetto (trattandosi “non… di una partita qualsiasi, bensì del derby, quella più attesa e sentita dell’intera stagione calcistica”)[75].
Anche quest’aspetto, invero, sembra porsi in linea coi principi tracciati dalla recente giurisprudenza di legittimità circa la obbligatorietà della personalizzazione, sotto il profilo risarcitorio, del danno non patrimoniale[76], e l’incongruità di una mera valutazione tabellare ai fini del calcolo delle somme dovute a ristoro del pregiudizio (sia per quanto riguarda il danno esistenziale, sia per quanto riguarda il danno morale) subito dalla vittima[77].
Sotto altro profilo, tuttavia, l’orientamento in esame non sembra in linea con un altro principio, affermato di recente dalla Suprema Corte, del divieto del ricorso alla liquidazione equitativa c.d. pura, nella determinazione del danno non patrimoniale, laddove manchino criteri stabiliti dalla legge[78].
In ogni caso, anche sotto il profilo del quantum risarcitorio, la sentenza sembra rappresentare un precedente assoluto in subiecta materia.
7. Considerazioni conclusive
La sentenza in esame presenta - come ogni sentenza - profili condivisibili ed aspetti che, invece, non sembrano convincere del tutto.
Essa appare convincente quando parla della titolarità, in capo al tifoso, di una “specifica situazione soggettiva, differenziata rispetto all’interesse della generalità dei consociati, alla lealtà e correttezza delle competizione sportiva per cui è causa”, qualificandola come diritto (a fronte del pagamento di un corrispettivo) “qualificato e differenziato alla fruizione con varie modalità di un evento sportivo”, che tuttavia si è svolto “concaratteristiche del tutto diverse da quelle essenziali legittimamente attese”.
Altrettanto convincente essa sembra quando attribuisce natura non patrimoniale a tale situazione soggettiva attiva, avente la dimensione di “danno esistenziale” (“da passione sportiva rovinata”, recita la motivazione) idoneo, in quanto tale, a determinare lo smarrimento dei valori propri dello sport, e soprattutto il “mutamento in senso peggiorativo delle proprie abitudini di vita” - come definito dalla stessa sentenza[79] - da parte del tifoso-consumatore dello spettacolo sportivo.
Non sembra, invece, pienamente convincente laddove ha ritenuto sufficiente - in tal senso - ed esaustiva la prova testimoniale acquisita dalle dichiarazioni rese da alcuni tifosi, costituitisi parti civili del procedimento, senza procedere, magari, ad ulteriori approfondimenti sul punto.
Non sembra altrettanto convincente, inoltre, laddove fonda l’interesse dei tifosi (alla lealtà e correttezza della competizione) su di un titolo contrattuale “incorporante uno specifico diritto (di credito) ad assistere ad una competizione sportiva regolare”, mediante “la sottoscrizione dell’abbonamento annuale e/o della tessera del tifoso”, senza, tuttavia, spingersi ulteriormente nel proprio ragionamento.
Dopo aver parlato, infatti, dell’esistenza di un siffatto interesse (indubbiamente di rilievo giuridico) fondato su di un titolo contrattuale (sia esso rappresentato dal biglietto d’ingresso, sia dal contratto di abbonamento, sia dalla tessera del tifoso), essa inspiegabilmente parla di impossibilità di “valutare l’incidenza del commesso reato(frode sportiva, ndr.), e dunque la parziale alterazione della regolarità del gioco, in un’ottica di definitiva compromissione del diritto ad esigere la prestazione dovuta dalla controparte contrattuale” (omettendo, quindi, di rilevare i conseguenti profili di responsabilità contrattuale facenti capo all’organizzatore).
A nostro modo di vedere, nel caso in esame possono concorrere le due forme ‘tipiche’ della responsabilità civile - contrattuale ed extracontrattuale - sussistendo, in capo ai danneggiati, una molteplicità di situazioni giuridiche protette[80].
È lecito, in realtà, ritenere che - anche sulla base di vicende come quella in esame - le Istituzioni Sportive (FIGC e Lega Calcio) abbiano tratto spunto per elaborare prima (e rendere obbligatori poi) modelli organizzativi societari nei confronti delle società sportive “idonei a garantire l’assoluta correttezza e trasparenza delle condotte individuali dei tesserati e prevenire la commissione d’illeciti[81].
In questa direzione si è collocata una proposta della Lega Calcio di serie A (avanzata nell’Assemblea del 20 aprile 2012) il cui tema principale è stato, appunto, “il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 (responsabilità di enti da reato, ndr.)[82] e le misure di prevenzione per contrastare le frodi sportive[83], nonché una delibera del Consiglio Federale della FIGC[84] con cui è stato stabilito che “diventeranno obbligatori modelli organizzativi[85] delle singole Società sui problemi della sicurezza per poter intervenire sul piano normativo con due obiettivi: 1) rafforzare le sanzioni nei casi di omessa denuncia per contrastare fenomeni di omertà; 2) valorizzare il sistema delle esimenti e delle attenuanti per le Società in regola con i modelli organizzativi che saranno validati dalla FIGC e dalle Leghe competenti”.
Fatte queste brevi considerazioni, non rimane, quindi, che attendere una produzione giurisprudenziale più significativa al riguardo, in grado di fornire ulteriori e più utili chiarimenti in subiecta materia (soprattutto, sul piando della verifica della resistenza dell’impianto normativo della sentenza in esame al vaglio critico delle Corti superiori), spettando - ora come in ogni tempo - l’ultima parola sulle leggi sempre alla giurisprudenza.
Sono - probabilmente - maturi i tempi per l’applicazione, in via analogica, ma integrale, delle disposizioni del Codice del Consumo, sulla considerazione - del tutto rispondente, ormai, alla nuova realtà sociale (ed alle moderne dinamiche contrattuali) - che il tifoso (soprattutto in qualità di spettatore “pagante”) è un utente-consumatore finale dello spettacolo sportivo, e ciò anche traendo spunto dall’esperienza di altri Paesi[86].
Un’altra via da percorrere potrebbe infine essere rappresentata dalla riscrittura della normativa volta a prevenire e reprimere i fenomeni di violenza negli stadi, in seno alla quale - oltre che alle legittime e (indiscutibilmente) condivisibili esigenze di arginare tali deprecabili fenomeni nell’ambito delle manifestazioni sportive - possa altresì trovare cittadinanza il riconoscimento nei confronti del tifoso di un diritto ad una piena fruizione di uno spettacolo sportivo “integro” , “autentico”, “genuino” (scevro, come sostenuto in precedenza, da qualsiasi interferenza, interna o esterna, che ne possa compromettere la credibilità), a fronte del pagamento del biglietto d’ingresso, o della sottoscrizione del contratto di abbonamento, nel rispetto delle altrettanto ineludibili esigenze di equità e buona fede contrattuale (anche sul piano esecutivo) tra le parti.

L’Autore intende ringraziare il collega Luca Maggi del Foro di Bari per la gentile collaborazione;
[1] il testo integrale della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web:http://www.altalex.com/~/media/Altalex/allegati/2015/04/01/70721%20pdf.pdf;
[2] la legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”), è pubblicata nella G.U. n. 294 del 18 dicembre 1989;
[3] così in motivazione l’orientamento citato;
[4] così, sempre in motivazione, l’orientamento cit.;
[5] così, sempre in motivazione, la sentenza in commento (pag. 59);
[6] per un’analisi dei profili di responsabilità (civile e penale) dell’organizzatore sportivo, cfr. G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, Jovene, Napoli, 2005;
[7]per un’analisi delle recenti modifiche della legge n. 401 del 1989 (d. l. n. 119 del 22 agosto 2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 146 del 17 ottobre 2014), sia consentito rinviare a P. GARRAFFA, “La nuova normativa contro la violenza negli stadi: qualche piccolo passo in avanti, ed un grosso passo indietro”, in Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it), 5 maggio 2015;
[8] così in motivazione;
[9] per una disamina dei profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo, oltre a G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, cit., si veda anche M. PITTALIS, “La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi”, in Contatto e Impresa, 2011, vol. I, pag. 150 ss.;
[10] P. DINI, “L’organizzatore e le competizioni: limiti alla responsabilità”, in Rivista di Diritto Sportivo, 1971, pag. 416 ss.;
[11] è questa, invero, l’ipotesi più frequente, andando a ricomprendere le associazioni sportive dilettantistiche, che di tutto il movimento sportivo rappresentano la parte numericamente più rilevante;
[12] in tal senso, P. DINI, “L’organizzatore e le competizioni: limiti alla responsabilità”, cit., pag. 416;
[13] B. BERTINI, “La Responsabilità Sportiva”, Giuffrè, Milano, 2002;
[14] così, ancora B. BERTINI, “La Responsabilità Sportiva”, op. cit., pag. 129 ss. (non a caso, come meglio si vedrà in seguito [par. 4], viene utilizzata la nozione di ‘spettacolo’, proprio per qualificare la dimensione imprenditoriale dell’attività di organizzazione di eventi sportivi);
[15] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1948 del 10/02/2003 (pubblicata sul Foro Italiano, 2003, Vol. 126, n. 5 [maggio], col. 1439 ss.);
[16] M. PITTALIS, “La responsabilità sportiva”, Giuffré, Milano, 2013, pag. 185 ss.;
[17] così, ancora, M. PITTALIS, “La responsabilità sportiva”, op. cit., pag. 185;
[18] S. GALLIGANI - A. PISCINI, “Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo”, in Rivista di diritto ed economia dello sport., 2007, vol. III, n. 3;
[19] così, ancora, S. GALLIGANI - A. PISCINI, “Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile..”, op. cit., pag. 118;
[20] da P. DINI, “L’organizzatore e le competizioni: limiti alla responsabilità”, op. cit., pag. 423;
[21] si pensi alle singole categorie di peso negli sport c.d. “a violenza necessaria” (es. boxe o arti marziali) o di età, soprattutto negli sport di squadra (es. calcio, pallacanestro, pallavolo);
[22] sul punto, cfr. G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, op. cit., pag. 89 ss.;
[23] per una panoramica delle posizioni giurisprudenziali e dottrinali al riguardo, B. BERTINI, “La Responsabilità Sportiva”, op. cit., pag. 129 ss.; G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, op. cit., pag. 71 ss.; M. PITTALIS, “La responsabilità sportiva”, op. cit., pag. 177 ss.;
[24] vi sono, infatti, numerose discipline che non prevedono alcuna forma di contatto tra i contendenti, né l’utilizzo di mezzi o strumenti di particolare pericolosità, né - infine - il loro svolgimento in luoghi particolarmente pericolosi (si pensi a discipline quali gli sport “di rete” [tennis, pallavolo, ping-pong, badminton], l’atletica leggera [e tutte le sub-discipline ivi comprese], o il nuoto [e tutte le sub-discipline ivi comprese]);
[25] disciplinata dalla Legge 11 febbraio 1992, n. 157 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” (c.d. “legge sulla caccia”, in G.U. n. 46 del 25-2-1992), e dal D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle assicurazioni private”, in G.U. n.239 del 13-10-2005, in particolare al Titolo XVI°, Capitolo V°, “Sistema di indennizzo dei danni derivanti dall’esercizio di attività venatoria”), in giurisprudenza, cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12109 del 19/08/2003 (in Massimario della Giustizia Civile, 2003, nn. 7-8);
[26] cfr. Cass. Civ., n. 2493 del 30/01/2009 (in Massimario della Giustizia Civile 2009);
[27] cfr. Cass. Pen., Sez. IVª, n. 32697 del 06/09/2010;
[28] cfr. Cass. Civ., n. 749 del 24/01/2000 (in Foro Italiano, 2001, I, col. 2861, secondo cui: “l’organizzazione di una gara motociclistica su circuito aperto al traffico (anche se di regolarità) è un’attività alla quale è applicabile l’art. 2050 c.c.”);
[29] cfr. Trib. Arezzo (sezione civile) 7 maggio 2012 (fattispecie in tema di danno occorso ad un ciclista che andava a scontrarsi contro un’autovettura che sostava sul marciapiede destro della carreggiata, ove si era fermata non potendo procedere oltre per il sopraggiungere, nella direzione opposta, del “gruppo” dei gareggianti); 
[30] cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5971 del 18/03/2005 (in Massimario della  Giustizia Civile, 2005, n. 4; ed in Diritto Marittimo, 2005, n. 4, pag. 1127), e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 10551 del 19/02/2002 (in Giustizia  Civile, 2003, I, col. 104, ed in Danno e Responsabilità, 2002, pag. 1215, con nota di AGNINO, “Navigazione aerea ed applicabilità dell’art. 2050 c.c.”);
[31] cfr. Trib. Pisa (sezione civile), 10 aprile 2001 (in Diritto dei trasporti, 2003, pag. 929); Trib. Roma (sezione civile), 22 maggio 2002 (in Diritto dei trasporti, 2003, pag. 953, con nota di ANTONINI, “Assicurazione della responsabilità della scuola di pilotaggio e azione diretta del danneggiato”, pag. 958); Trib. Torino (sezione civile), 18 febbraio 2002 (in Diritto dei trasporti, 2003, pag. 941, con nota conforme di GAGGIA, “Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle scuole di volo da diporto o sportivo”, pag. 945).
In dottrina, si veda il recente Volume “L’Aria - Volume II”, a cura di F. MORANDI e U. IZZO (in “La responsabilità civile e penale negli sport del turismo”, Trattato diretto da G. Fornasari, U. Izzo, L. Lenti, F. Morandi, Giappichelli, Torino, 2014);
[32] cfr. Cass. Civ., n. 3446 del 02/02/2005 (su Guida al Diritto, 2005, n.2, pag. 83, e su Diritto e Giustizia, 2005, n. 21, pag. 47);
[33] cfr. Trib. Milano (sezione civile) 21 novembre 2002 (in Giurisprudenza milanese 2003, pag. 80);
[34] cfr., ex multis, Tribunale di Ascoli Piceno (sezione penale) 13 maggio 1989 (confermata da App. Ancona, 18 giungo 1990, in Le Società, 1990, col. 1625 ss., con nota di G. VIDIRI “Responsabilità del presidente di società calcistica”); Tribunale di Crotone (sezione civile) 17 giugno 1993, n. 433 (inedita), in tema di risarcimento danni riconosciuto ad un tifoso della squadra locale che, a seguito di una sassaiola posta in essere da parte dei tifosi della squadra avversaria, rimasti al di fuori dell’impianto (ma nelle sue immediate vicinanze), e dei conseguenti disordini verificatisi in conseguenza di ciò, veniva scaraventato a forza dalla tribuna, riportando gravi lesioni personali; e  Tribunale di Milano (sezione civile) 21 settembre 1998, n. 10037 (in Danno e Responsabilità, 1999, pag. 234 ss.), che ha esplicitamente affermato che: “L’organizzazione di una manifestazione sportiva a livelloprofessionistico deve essere ricondotta al concetto di attività pericolosa in quanto considerata tale da espresse norme di legge (d. m. 25 agosto 1985, “Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impiantiSportivi”) il cui contenuto è tutto informato all’estrema pericolosità delle manifestazioni agonistiche, in quanto oggettivamente pericolose”, sentenza successivamente confermata da C. App. Milano 18 maggio 2001 (in Foro Padano 2002, I, col. 205);
[35] Cass. Civ., Sez. III, n. 26901 del 19/12/2014;
[36] così in motivazione la sentenza in oggetto. Per un commento a tale pronuncia, si rimanda alle considerazioni già svolte da P. GARRAFFA, “Danno allo spettatore per lancio di oggetti allo stadio. Chi ne risponde? Ed a che titolo?”, in questa Rivista (13 maggio 2015);
[37] cfr. Trib. Milano (sezione civile) 12 novembre 1992 (in Rivista di Diritto Sportivo, 1993, pag. 502 ss., con nota di LORUSSO, ed in Responsabilità Civile e Previdenza, 1993, pag. 616 ss.), in una fattispecie di partita amichevole di squash, che ha sancito la responsabilità di un circolo sportivo per le lesioni cagionate ad uno spettatore seduto in tribuna, colpito all’occhio da una pallina scagliata da uno dei giocatori, che aveva assunto un’anomala traiettoria, per “inosservanza della regola generale di cautela e di prudenza che impone alla gestione del contro sportivo di adottare una opportuna barriera con recinzione od elevamento della parete di fondo campo, onde evitare pericolo per gli spettatori nell’eventualità di un’anomala fuoriuscita della pallina”;
[38] ciò, invero, sulla base dell’assunto che il giocatore-tesserato sia - in maniera stabile oppure occasionale - inserito nell’organizzazione aziendale dell’“imprenditore sportivo” (cfr., ex multis, Trib. Roma [sezione civile] 9 marzo 1996; Trib. Monza [sezione civile] 5 giugno 1997; Cass. Civ., n. 3616 del 24/05/1988; in dottrina, G. LIOTTA, “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, op. cit., pag. 89 ss.,
[39] una dottrina (G. LIOTTA, “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, op. cit., pag. 97 ss.), a tal proposito, parla di “equa ripartizione dei rischi imprenditoriali” tra giocatore-tesserato ed “imprenditore sportivo”, in applicazione del brocardo romano ‘cuius et commoda eius et incommoda’;
[40] in tal senso, G. STIPO, “La responsabilità civile nell’esercizio dello sport”; in Rivista di diritto sportivo, 1961, 43 ss.;
[41] cfr. Trib. Milano, n. 10037/1998 cit.;
[42] in Trib. Milano, n. 10037/1998 cit., nel sancire la responsabilità dell’organizzatore ai sensi dell’art. 2050 c.c., si chiarisce come non si possa rimanere ancorati alla “realtà e complessità di fenomeni tanto rilevanti economicamente quali quelli che ruotano al calcio agonistico, e non valutare dunque adeguatamente alla stregua delle norme vigenti, la necessità che gli interessi in gioco (quello all’integrità fisica degli spettatori, da una parte; quello economico degli organizzatori, dall’altra) trovino una composizione rispettosa della diversa valenza”; una dottrina (G. CAPILLI, “L’organizzazione dell’attività sportiva”, in M. BESSONE, “Casi e questioni di diritto privato - La responsabilità nello sport”, a cura di G. CAPILLI - P.M. PUTTI, Milano, 2002) sottolinea come “il concetto di rischio sportivo si ricollega a quello di ‘rischio creato’, secondo cui chi dia luogo ad una situazione di pericolo, con la sua attività, per ottenere un vantaggio è tenuto a sopportarne le conseguenze”;
[43] da G. PONZANELLI, “Responsabilità civile e attività sportiva”, in Danno e responsabilità, 2009, n. 6, pag. 603 ss.;
[44] a tal proposito, una distinzione tra spettatore pagante, spettatore “amichevole” e spettatore a titolo gratuito - intendendosi, per tale, colui che è “abilitato ad accedere liberamente allo stadio” - viene effettuata da G. LIOTTA, “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, op. cit., pag. 129;
[45] sono stati, questi, soprattutto i casi degli spettatori “assiepati” in punti nevralgici di gare di rally (sul punto, cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 11040 del 06/05/2008, in tema di decesso di due spettatori, durante una gara di rally a circuito chiuso, travolti dalla fuoriuscita di strada dell’autovettura partecipante, in corrispondenza di una curva, a causa dell’elevata velocità tenuta dall’autovettura);
[46] com’è stato puntualmente rilevato da G. PONZANELLI, op. cit., 603;
[47] così in motivazione l’orientamento in oggetto (pag. 59);
[48] Decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 (in G.U. 8 ottobre 2005, n. 235);
[49] così in motivazione l’orientamento in oggetto (pag. 57);
[50] cfr. soprattutto Corte Cost., n. 233 del 7 maggio 2003 (Pres. Chiappa, Est. Marini), secondo cui sarebbe: “inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile, sollevata in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, in quanto prevederebbe una irragionevole limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi preveduti dalla legge. Il superamento del dubbio di legittimità costituzionale conseguente ad una lettura della norma contraria a quella prospettata dal rimettente rende, infatti, concretamente possibile, nel giudizio principale, la tutela risarcitoria dei danneggiati e, percio, priva di rilevanza la relativa questione”, e Cass. Civ., Sez. IIIª, nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 (Pres. Carbone, Est. Amatucci), secondo cui: “Il rinvio che l’art. 2059 cod. civ. fa ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni di questa, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela e in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale”, aggiungendo, inoltre che “la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. va tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto (lesione psico-fisica secondo i canoni della scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (mera sofferenza psichica e patema d’animo) nonché dei pregiudizi, diversi e ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto”;
[51] Cass. Civ., SS.UU., 11 novembre 2008, nn. 26972-26975 (pres. Carbone, est. Preden), pubbl. nel Foro Italiano, 2009, I, pag. 120 ss., di cui si riportano le seguenti massime di interesse: “La risarcibilità del danno non patrimoniale attinente alla sfera del fare areddituale del soggetto (ivi compresi i pregiudizi di tipo esistenziale) è ammessa, oltre che nelle ipotesi espressamente previste da una norma di legge, nei casi in cui il fatto illecito vulneri diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti.
Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.
E’ inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale.
Anche dall’inadempimento di una obbligazione contrattuale può derivare un danno non patrimoniale, il cui risarcimento è regolato secondo le norme dettate in materia di responsabilità contrattuale.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere dedotto e provato: a tal fine, il giudice può far ricorso a presunzioni, ma il danneggiato dovrà comunque allegare tutti gli elementi idonei a risalire dalla serie di fati noti al fatto ignoto rappresentato dal danno da provare”;
[52] ragion per cui si parla, oggi, di “tipicità” del danno non patrimoniale risarcibile, a fronte della “atipicità”, invece, di quello patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 cod. civ., in tutti quei casi di lesione di un qualsiasi bene ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico;
[53] così Cass. Civ. SS.UU., n. 6572 del 31 marzo 2006 (Pres. Carbone, Est. La Terza);
[54] sul punto, cfr. P. ZIVIZ, “Lo spettro dei danni bagatellari”, in Responsabilità Civile e Previdenza, n. 3, 2007, pag. 517 ss.;
[55] così in motivazione Cass. Civ., SS.UU., n. 26972/2008, cit.;
[56]cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. III, n. 15491 del 08/07/2014;Cass. Pen., Sez. IV, n. 46351 del 10/11/2014; in dottrina: D. CHINDEMI, “Il danno parentale: definizione, natura e criteri risarcitori (Commento a Cass. 9-5-.2011, n. 10107)”, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2011, 2232;
[57] mancando, infatti, in questi casi il connotato della “ingiustizia costituzionalmente qualificata” del danno (cfr. F. GAZZONI, “Manuale di Diritto Privato”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, pag. 736);
[58] cfr. soprattutto la n. 26973/2008 (delle Sez. Un., cit.);
[59] Cass. Civ., SS.UU., 22 luglio 2015, n. 15350 (pres. Rovelli, est. Salmè), pubblicata anche nel sito internet del Foro Italiano (www.foroitaliano.it), e reperibile al seguente indirizzo web: http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2015/07/cass-civ-15350-15.pdf;
[60] così in motivazione Cass. Civ., SS.UU., n. 15350/2015, cit. (pag. 16);
[61] da N. SAPONE, “Qualche rigo delle Sezioni Unite sul danno esistenziale”, in www.personaedanno.it, (26 luglio 2015);
[62] osserva, infatti, l’Autore prima citato che: “sembra che la S.C. in questa pronuncia configuri il danno esistenziale come danno atipico, come veicolo del principio di atipicità sul versante non patrimoniale. Sarebbe in sostanza il mezzo per trasformare l’art. 2059 in un 2043 bis. Il che però non è. Il danno esistenziale sta interamente dentro l’art. 2059 c.c. Il principio di tipicità non lo riguarda, non è affar suo”; parzialmente critico nei confronti di tale pronuncia è anche P. CENDON, “Danno esistenziale: se me ne parli così in fretta, forse non l’hai mai davvero considerato”, in www.personaedanno.it, 23 luglio 2015, il quale pure osserva, da un lato, che “le ripercussioni esistenziali sono una realtà fenomenica diversa dal dolore e, come tali, debbono essere sempre tenute in conto nel risarcimento”, e, dall’altro, che “Il consequenzialismo preso troppo alla lettera può, è vero, tradursi sul piano processuale nel rischio di negare tutela quando è molto probabile che le ripercussioni ci sono state; e quando è anche molto evidente, nel contempo, che la vittima fa fatica a fornire congrue evidenze”; critico anche S. CAVASSA, “Le sezioni unite confermano la non risarcibilità del danno subito dalla vittima in conseguenza della morte: un ritorno al passato”, in Diritto Civile Contemporaneo, www.civilecontemporaneo.it, 16 settembre 2015; per approfondimenti sul tema, si veda la monografia “Il danno tanatologico”, di L. BIARELLA, Altalex Editore, Milano, 2015;
[63] con cui era stato affermato il principio per cui,in caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato - in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 della cd. “Carta di Nizza” - è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell'immediatezza dell'illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana): così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 9231 del 17/04/2013 (nella Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 9, 2013, pag. 773, con nota di L. FRATA, “La concezione unitaria del danno non patrimoniale e la sua quantificazione nell’illecito plurioffensivo”, ed in www.personaedanno.it, 19 aprile 2013, con nota di P. ZIVIZ, “Nessun automatismo nella liquidazione del danno ai familiari per morte del congiunto”);
[64] cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20927 del 16/10/2015, reperibile on-line nel sito ‘istituzionale’ della Corte di Cassazione (www.cortedicassazione.it), presso il seguente indirizzo web:http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/20927_10_15.pdf, che, da un lato, ha affermato che il principio per cui il danno alla qualità dell’esistenza trova tutela ogni qual volta vi sia una lesione di un diritto costituzionalmente garantito, ovvero un interesse giuridicamente protetto, e, dall’altro, che a fondamento della risarcibilità del danno non patrimoniale di tipo esistenziale possa pertanto essere posto un diritto fondamentale diverso rispetto al diritto alla salute (quale, ad esempio, il diritto all’inviolabilità del domicilio ed alla tutela della famiglia); per un commento su tale sentenza, nonché dei suoi precedenti giurisprudenziali, cfr. A. ARSENI, “Il danno esistenziale: la faticosa evoluzione giurisprudenziale”, in www.personaedanno.it (4 novembre 2015);
[65]cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 24210 del 27/11/2015, che, da un lato, ha affermato il principio per cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.) non comporta la preclusione del rilievo e della necessità di tenere conto nella relativa liquidazione di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto, in ossequio al principio dell’integralità del ristoro, e, dall’altro, che il giudice di merito deve precisare quali aspetti abbia considerato del danno non patrimoniale liquidato, dovendo, in particolare, considerare pure le “turbe in ambito sessuale e psichico”, anche sotto il profilo dello sconvolgimento dell'esistenza che esso normalmente comporta. Laddove, poi, tali aspetti relazionali non siano stati presi in considerazione dal giudice di prime cure (del tutto ovvero secondo i profili peculiarmente connotanti il c.d. danno esistenziale), dal relativo ristoro non si può - comunque - prescindere (per un commento su tale sentenza, nonché dei precedenti giurisprudenziali che hanno visto l’elaborazione, nelle sue varie tappe, del danno ‘esistenziale’, si veda A. ARSENI, “Illecito plurioffensivo ed autonomia ontologica delle voci del danno patrimoniale e non patrimoniale”, in www.personaedanno.it (21 dicembre 2015);
[66] ad esclusione della Federazione Regionale della CONFCONSUMATORI, essendo già stata ammessa in giudizio l’associazione nazionale (CONFCONSUMATORI), “non potendo configurarsi una legittimazione processuale multipla dello stesso soggetto” (cfr. pag. 55 della motivazione), e della ONLUS “Sportello dei diritti”, non rientrando né il valore della lealtà e correttezza delle manifestazioni sportive, né il diritto di consumatori ed utenti ad assistere a competizioni sportive non manipolate, né gl’interessi consequenziali a tali diritti “tra gli obiettivi associativi cristallizzati nello Statuto” (così, ancora, pag. 55 della motivazione);
[67] precisazione, anche questa, che meriterebbe di essere approfondita (si pensi, ad es., a quella categoria di spettatori via etere, che assiste all’evento tramite il pagamento di un corrispettivo per la visione dello stesso: sia tramite abbonamento, sia tramite il pagamento per la visione del singolo evento);
[68]così in motivazione l’orientamento in esame (pag. 59);
[69] cfr. par. 4;
[70]tra cui la sentenza annovera tanto gli “acquirenti a titolo oneroso dei titoli di legittimazione per assistere alla gara dal vivo”, quanto coloro che la seguono “in televisione” (mostrando, con ciò, di voler includere nel novero dei soggetti risarcibili anche gli spettatori “utenti televisivi” dell’evento: cfr. pag. 57 della motivazione);
[71]così in motivazione l’orientamento in oggetto (pag. 59);
[72]l’orientamento in esame, a tal fine, parla di “delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori”, nonché della “perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la squadra del cuore dal vivo, anche in trasferta” (cfr. pag. 60 della motivazione);
[73]così Tribunale di Matera, Sezione Civile, 23 settembre 2015 (fattispecie in tema di “danno da vacanza rovinata”);  la sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web:http://dirittocivilecontemporaneo.com/wp-content/uploads/2015/10/Danno-da-vacanza-rovinata.pdf;
[74] in ragione del fatto che nel Regolamento della campagna abbonamenti della squadra barese il singolo biglietto della gara aveva un costo superiore a quello “medio” delle altre partite di campionato;
[75]così in motivazione l’orientamento in esame (pag. 61);
[76]cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12408 del 07/06/2011 (sull’obbligatorietà dell’adozione delle “Tabelle milanesi” ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile), e, più di recente, Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12594 del 18/06/2015 (che - proprio in virtù del principio della “personalizzazione del danno risarcibile” - ha cominciato ad abbandonare tale impostazione);
[77]così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 18611 del 22/09//2015, in questa Rivista, con breve nota esplicativa di M. A. CAPPELLERI “Risarcimento-Cassazione: la sofferenza umana non è quantificabile in una tabella”;
[78]in tal senso Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20895 del 15/10/2015, che ha affermato il principio secondo cui: “Nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto, allo scopo di rendere verificabile a posteriori l'iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, e di permettere di verificare se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo”;
[79]nella motivazione si parla infatti di “delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori”, e di “perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la squadra del cuore dal ‘vivo’, anche in trasferta”;
[80]così Cass. Civ., Sez.Iª, n. 2577 del 06/03/1995 (in Massimario della Giurisprudenza. Italiana., 1995), secondo cui “è ipotizzabile il concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale non solo quando lo stesso fatto è imputabile a più autori, a diversi titoli, ma anche quando in capo ad una stessa persona danneggiata sussiste una molteplicità di situazioni protette, in relazione sia ad un precedente obbligo relativo, sia a divieti generali ed assoluti”; più di recente (soprattutto sulla facoltà di beneficiare in sede risarcitoria del regime normativo più favorevole, tra quello offerto dagli artt. 1218 e ss. e quello di cui gli artt. 2043 e ss. c.c), si veda Trib Matera, Sezione Civile, 23 settembre 2015, cit.;
[81]così Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (organo oggi sostituito dal Collegio di Garanzia per lo Sport), 27 ottobre 2006, in relazione allo scandalo “Calciopoli” che aveva coinvolto la società Juventus FC;
[82]per un approfondimento su tali tematiche, cfr. C. CUPELLI, “Problemi e prospettive di una responsabilità da reato degli enti in materia di illeciti sportivi” (in Le Società, n. 7-2013);
[83]in tale occasione la Lega “si è dotata di un Codice etico e di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 e sono state emanate delle linee guida alle quali le Società dovranno uniformarsi adottando un coerente modello interno, finalizzato anche alla prevenzione delle frodi sportive” (cfr. Comunicato Ufficiale n. 207 del 12 aprile 2012, di Ordine del giorno dell’Assemblea ordinaria Lega Calcio Serie A convocata il successivo 20 aprile 2012);la stessa Lega, in tale occasione, ha inoltre posto come condizione necessaria per l’iscrizione al campionato successivo (stagione 2013/2014) l’adozione di tale modello organizzativo;
[84]delibera adotta nella seduta del 27 aprile 2012 (reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale della FIGC,www.figc.it, al seguente indirizzo web:
[85] di cui è stato approvato il documento definitivo contenente le Linee-Guida;
[86]si pensi ad una realtà come quella brasiliana, ove esiste una Legge (la n. 10671 del 15 maggio 2003), nota come “Estatuto do Torcedor [letteralmente: ‘Statuto del tifoso’, ndr.]”, che, tra riconosce al tifoso (in qualità diconsumatore finale dell’evento sportivo), una molteplicità di diritti, tra cui anche quello alla pubblicità e trasparenza nell’organizzazione di manifestazioni sportive (articoli da 5 a 8), alla previa comunicazione del Regolamento delle competizioni (articolo 9), alla sicurezza nella partecipazione alle manifestazioni sportive (articoli da 13 a 19, articolo quest’ultimo che prevede la responsabilità solidale - ed oggettiva - tra società, dirigenti e proprietari dell’impianto, per “incidenti causati al tifoso derivanti da mancanza di sicurezza negli stadi o inosservanza delle diposizioni previste dalla presente legge”), all’indipendenza, imparzialità, nonché la “mancanza di pressioni” e la “previa remunerazione da parte dell’organizzazione sportiva” della classe arbitrale (art. 30), ai rapporti con le società sportive che prevedano la redazione e pubblicazione di un documento riguardante le linee guida dei rapporti con i tifosi, ed in particolare le norme riguardanti l’accesso e la vendita dei biglietti, ed ogni altra forma di comunicazione con i tifosi ivi incluse quelle relative alla trasparenza finanziaria ed alle autorità indipendenti preposte alle verifiche contabili (art. 33), ai rapporti con la giustizia sportiva (articoli da 34 a 36). Per un approfondimento della tematica, si veda G. LOPES PIRES DE SOUZA, “Estatuto do Torcedor, a evoluçao dos direitos do consumidor do esporte”, Alfstudio Editore, Belo Horizonte, Brasile, 2010);

Articolo pubblicato in: Diritto dello sportDiritto privato


Originalmente publicado em: http://www.filodiritto.com/_index.html?_id1=91&_id4=152&_id5=16480&_id6=db_articoli

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